Kirsten Dunst: Justine Charlotte Gainsbourg: Claire
Kiefer Sutherland: John Alexander Skarsgård: Michael
Kiefer Sutherland: John Alexander Skarsgård: Michael
Charlotte Rampling: Gaby John Hurt: Dexter
Stellan Skarsgård: Jack Brady Corbet: Leo
Udo Kier: Wedding planner Jesper Christensen: Little Father
“La vita è solo sulla Terra, e non per molto!”. Sentenzia Justine(Kirsten Dunst), chiarendo subito che la fine è vicina.
Justine si è appena sposata. Arriva con il marito alla festa delle nozze che il cognato (Kiefer Sutherland) e la sorella Claire(Charlotte Gainsbourg) le hanno organizzato in grande stile in una meravigliosa villa con tanto di campo da golf annesso. Tutto sembra perfetto, gli invitati, i parenti e un maestro di cerimonie (Udo Kier) chiamato per l’occasione. L’apparente allegria di Justine comincia presto a trasformarsi in una profonda apatia e un disagio profondo che la spingerà a perdere progressivamente interesse per i festeggiamenti allontanandosi in più occasioni. Questa forma di lento distacco da ciò che le capita intorno appare collegata, in qualche modo, all’avvicinarsi alla Terra di un pianeta misterioso: Melancholia. Apparentemente non c’è alcuna relazione, al momento il pianeta non sembra rappresentare una minaccia per gli esseri umani, ma qualcosa non va. Melancholia si avvicina, si nasconde, cambia traiettoria e, benché il mondo scientifico inviti all'ottimismo, ritenendo il rischio di collisione un’ipotesi remota, Justine appare turbata.
L’opera si presenta, come di consueto per Von Trier, suddivisa in capitoli e fa parte di una ideale trilogia sulla depressione per la quale non esiste consequenzialità narrativa ma soltanto di forma e tema di base. Questo secondo episodio segue il discusso Antichrist di due anni fa.
Il film comincia con un prologo, una forma filmica molto simile a quella già utilizzata per Antichrist: una introduzione visiva di glacialità pittorica e realismo emotivo. Le immagini estremamente rallentate, quasi ferme, sono avvolte in una luce notturna irreale e uno spazio onirico e metafisico, bellissimo ed inquietante, puntellato dal wagneriano (“Tristano e Isotta”). Un film nel film quasi autoconsistente che rende comprensibile lo stato d’animo della protagonista e chiarisce, sin dall'inizio, che la fine è inevitabile. Dopo il prologo di alta qualità simbolica ed estetica, comincia una bipartizione che vede protagoniste le due sorelle (prima Justine e poi Claire). In questa atmosfera surreale la prima parte, dedicata a Justine, vero alter ego del regista, appare all’inizio allegra mentre raggiunge in limousine la villa del ricevimento ma coglie rapidamente l’inadeguatezza della situazione. Di forte impatto simbolico è la scena dell'auto degli sposi, che resta bloccata in una curva del viottolo che porta alla villa di campagna in cui li si attende per i festeggiamenti. Il dramma si va rapidamente configurando e le “infrastrutture” formali e le convenzioni sociali mostrano la loro fragilità ed insulsaggine. Nella seconda parte Claire rappresenta quello che Von Trier vorrebbe essere ma non riesce, Claire cerca conservare il senso delle cose e di preservare l’esistente con una sorta di tragico contegno che cerca di conservare anche quando alcuni strani eventi atmosferici annunciano la fine imminente. Durante la festa le due donne sono circondate da una folla vinterberghiana (Festen), ritrovando parte degli stilemi del Dogma, ma alla fine, quando il dramma si compie, resteranno sole.
Inizialmente è Claire l’unica che cerca di sostenere la sorella, richiamandola ai propri doveri, assistendola e cercando di "mettere ordine", vuole controllare anche l'ineluttabile, ma non appena appare inevitabile lo scontro tra la Terra e il pianeta Melancholia, le parti si invertono. La depressa Justine, forse perché da sempre consapevole della tragedia affronta le cose in modo calmo e consapevole, aiutando sorella e nipote. Il film finisce con Justine e il nipote Leo che costruiscono con dei paletti di legno un rifugio immaginario (la "grotta magica"), aspettando la collisione imminente. I tre vi entrano e si tengono per mano, mentre Melancholia colpisce la Terra, distruggendola.
E’ la fine di tutto, anche se alcune immagini possono far pensare ad un disegno superiore, ad una rinascita catartica, come in 2001 Odissea nello spazio, altro film impregnato di pessimismo escatologico.
Ma per Von Trier esplicitare questa possibilità sarebbe stato andare “fuori tema”, rovinare l’autoanalisi psicanalitica che sta portando avanti nei suoi ultimi film.
Il regista ci dice che la sua depressione non è malattia ma consapevolezza, è visione d’insieme e che, come da lui stesso dichiarato in una intervista: “nelle situazioni disperate i depressi tendono a restare più calmi delle persone normali, perché si aspettano sempre il peggio! Ma anche perché non hanno niente da perdere”.
Il film capovolge il paradigma del cinema catastrofico. La fine del mondo non è causata da un attacco da una forza aliena o la conseguenza dello scontro con un asteroide che funge da proiettile distruttore.
La vita è solo sulla terra, siamo soli nell'universo, ma non per questo siamo importanti.
Melancholia è il nome di un asteroide, scoperto nel 1977, della fascia principale del sistema solare. Invertendo le proporzioni, Von Trier gioca con questo concetto, facendo per una volta fare la parte dell'asteroide al nostro pianeta.
In Melancholia la fine del mondo non avviene accidentalmente. Il nostro Mondo, la Terra partecipa soltanto all'impietoso gioco di sponde dell’universo dopo il Big Bang. Nello scontro non ci sono attaccanti ed attaccati, l'impatto è comunque un'inevitabile "tragedia". E’ la fine della Storia e del mondo. A proposito della fine della Storia Baricco scrisse parlando dell’11 settembre: “C'è un'ipertrofia irragionevole di esattezza simbolica, di purezza del gesto, di spettacolarità, di immaginazione.”
La vita è solo sulla terra, siamo soli nell'universo, ma non per questo siamo importanti.
Melancholia è il nome di un asteroide, scoperto nel 1977, della fascia principale del sistema solare. Invertendo le proporzioni, Von Trier gioca con questo concetto, facendo per una volta fare la parte dell'asteroide al nostro pianeta.
In Melancholia la fine del mondo non avviene accidentalmente. Il nostro Mondo, la Terra partecipa soltanto all'impietoso gioco di sponde dell’universo dopo il Big Bang. Nello scontro non ci sono attaccanti ed attaccati, l'impatto è comunque un'inevitabile "tragedia". E’ la fine della Storia e del mondo. A proposito della fine della Storia Baricco scrisse parlando dell’11 settembre: “C'è un'ipertrofia irragionevole di esattezza simbolica, di purezza del gesto, di spettacolarità, di immaginazione.”
Melancholia è un pianeta ipnotico e bellissimo. Sta per distruggere la Terra eppure non si può non rimanerne affascinati. Eppure è la fine di tutto e mette alla gogna la possibilità del controllo, sia sociale (il matrimonio) che scientifico (i calcoli del cognato).
Ma Melancholia è anche il modo in cui gli antichi definivano la depressione, o meglio quello stato di consapevolezza dolorosa che rappresenta un peso dell’anima. Il pittore Albrecht Dürer nella sua Melencolia aveva disegnato simboli che, anche incompresi, sono evocativi: Ritrae una figura alata seduta con aria imbronciata davanti ad una costruzione di pietra circondata da strani oggetti, simboli appartenenti al mondo dell'alchimia: una bilancia, un cane scheletrico, attrezzi da falegname, una clessidra, un solido geometrico (un "troncato romboedrico" o "poliedro Dürer"), un putto, una campana, un coltello, una scala a pioli. L'opera, simbolicamente rappresenta, in termini alchemici, le difficoltà che si incontrano nel tentativo di tramutare il piombo (anime delle tenebre) in oro (anime che risplendono).
Secondo la tradizione astrologica l'ambito alchemico era dominato dal pianeta Saturno ed era legato al sentimento della malinconia.
La parola deriva dal latino melancholia, che a sua volta trae origine dal greco melancholía, composto di mélas, mélanos (nero), e cholé (bile), quindi bile nera, uno dei quattro umori dalle cui combinazioni dipendono, secondo la medicina greca e romana, il carattere e gli stati d'animo delle persone.
Numerosi sono i riferimenti artistici disseminati nel film, oltre al meraviglioso preludio del Tristano e Isotta di Wagner. Le immagini richiamano molte opere pittoriche da Pieter Brughel del quale viene “animato” Il Ritorno Dei Cacciatori a Caravaggio, da Millais a De Chirico.
il regista danese getta un ponte (più o meno conscio) con Maestri del Cinema come Andrej Tarkovskij e Ingmar Bergman.
Il film rende omaggio inoltre al personaggio di Ofelia, aristocratica danese dell’Amleto di Shakespeare. La locandina del film, nonché una scena dell'introduzione, mostrano l'attrice Kirsten Dunst lasciarsi trasportare dal fiume proprio come Ofelia nel dipinto di John Everett Millais del 1852. In seguito, durante la prima parte dedicata a Justine, la protagonista apre i libri di arte nella biblioteca del cognato e mette in mostra proprio il dipinto di Millais. Ofelia ha nella tragedia è quello della vittima degli eventi. L’immagine di Millais ma anche quella di John William Waterhouse, diventano per Von Trier uno stilema estetico narrativo a cui fa spesso riferimento per rappresentare l’impotenza di fronte agli eventi.
“I’ll now count from one to ten…” in Europa, film bellissimo ed innovativo, dello stesso Von Trier, la voce narrante di Max Von Sidow inizia (e chiude) il film con una ipnosi collettiva, contando da uno a dieci. Nel video presente in pagina, il conteggio viene riportato sia per sottolineare la componente onirica e di autoanalisi dei film di Von Trier, che come riferimento ai punti fondamentali identificati in ambito di analisi critica.
“one” l’immagine immobile e allucinata del giardino della casa, con tanto di inutile clessidra che segna due ore, simbolica rappresentazione di estraniamento e dell’inadeguatezza delle convenzioni. Richiama le opere di De Chirico come “Piazza d’Italia”.
“two” la sposa legata e trattenuta che riesce a muoversi a stento. Una sinfonia meccanica, indice immaginifico di quel che sarà, sposa prigioniera. Richiama ad un’altra rappresentazione di Ofelia ritratta da John William Waterhouse.
“three” il richiamo più diretto ed evidente al personaggio di Ofelia nella rappresentazione di Millais. La maggiore differenza è che viene rappresentata di fronte, e non di lato, in quanto più allineata alla rappresentazione semantica del regista, già utilizzata in altri film, e a cui indirettamente richiama.
“four”e a cui si fa riferimento nelle immagini che confrontano simili inquadrature tratte da Antichrist, Medea e Dogville.
“five” Antichrist ha una forma filmica molto simile, con un “prologo” sottolineato dalla musica di Haendel, e racchiude le peggiori ossessioni del regista.
“six” Bergman è una figura importante per Von Trier, il quale ha più volte sottolineato il suo attaccamento al regista svedese. La trama di Antichrist richiama in modo evidente “L’ora del Lupo” di Bergman.
“seven” il cinema catastrofico Hollywoodiano, pur rappresentando temi simili è molto lontano. Nessuna scena di isteria di massa ma solo un’intima riflessione sui tre protagonisti e sul loro senso della storia.
“eight” 2001 Odissea nello spazio. L’essere umano è ben lungi dal rappresentare uno stadio di perfezione evolutiva. La fine dell’Uomo è funzionale allo sviluppo evolutivo.
“nine” le convenzioni sociali si frantumano e perdono di significato man mano che Justine intuisce l’avvicinarsi della fine. La festa di matrimonio continua, ma qualcosa lentamente cambia.
“ten” il sogno finisce e siamo in Europa, nel giorno della presentazione al Festival di Cannes del film.
Lars Von Trier ha ormai abituato la critica ed il pubblico con le sue strategie di NON-marketing, e anche stavolta se ne è uscito con esternazioni ridicole sul suo essere ebreo mancato e nazista rivelato, ha insultato la regista Susanne Bier e Israele e ha chiuso con una frase : “Sì, Hitler mi fa un po' simpatia e lo capisco". Spiazzando tutti, attori inclusi. La provocazione artistica ha abituato gli addetti ai lavori, e spesso nascondono precise strategie di “vendita” del prodotto artistico studiate a tavolino. Ma queste frasi, poi parzialmente ritrattate, nulla hanno a che vedere con i meccanismi promozionali e hanno finito col danneggiare il film e sono costate al regista danese la cacciata dal Festival.
E’ veramente difficile riconoscere nell’uomo che straparla ai giornalisti, l’autore tormentato e profondo che conosciamo attraverso i suoi film.
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Ofelia John William Waterhouse |
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Ofelia John Everett Millais |
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Piazza d'Italia Giorgio De Chirico |
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