Come si fa a trattare temi come la guerra o i conflitti religiosi e culturali in modo profondo e leggero, toccante e liberatorio, autentico e "ruffianello"? Se vi interessa saperlo, andate a vedere "E ora dove andiamo?" di Nadine Labaki.
Possiamo anche entrare in sala "preparati", possiamo esserci documentati; possiamo già sapere come si snoda la storia tra i grandi drammi dell'universo e i problemi di un piccolo villaggio sperduto tra le montagne di un Paese mediorientale; possiamo già sapere che Nadine Labaki è giovane e brava, che questo è il suo secondo film e che il primo, Caramel, è piaciuto a critica e pubblico; possiamo quindi anche già sapere che le sta a cuore il tema della convivenza pacifica tra i popoli e che il suo linguaggio è fresco e sbarazzino; possiamo essere poco o tanto esperti di cinema da saper smascherare strizzatine d'occhi e trucchi narrativi, ma difficilmente tutto questo potrà bastare per resistere al fascino ammaliatore del continuo cambio di passo e di registro.
Ciò che in altri casi potrebbe sembrarci un "pasticciaccio" di generi accrocchiati alla meno peggio, qui dovrà per forza farci riflettere, perché l'"invenzione" di Nadine Labaki è bella e forte, ed è così semplice da non ammettere nessuna riserva. A lei la guerra non piace, e vi dimostrerà di essere disposta ad usare qualsiasi mezzo, convenzionale e ortodosso oppure no, per convincere anche voi, anche tutti, chiunque.
E' vero: per essere trascinati sul "terreno di gioco" prediletto da Nadine Labaki occorre forse avere qualche affinità con gli usi e i costumi tipici di certe latitudini, occorre forse avere occhio e orecchio per certe movenze e certi suoni, occorre essere avvezzi a certe "liturgie". Ma sarei pronto a scommettere che la danza funebre delle donne in lutto che vanno a far visita ai loro cari al cimitero del villaggio al secondo minuto del film, potrebbe avere qualche effetto anche su un abitante di Goteborg.
Se di musical si tratta, complimenti a Nadine che l'ha pensato così, perché in quella danza c'è molto di più, c'è il senso ancestrale del dolore, c'è la liturgia, c'è il rito del trapasso al termine del quale, se sai resistere come solo una donna sa fare, puoi trovare ancora una piccola luce ad aspettarti.
Scena iniziale film
Sui siti specializzati ho letto che Nadine Labaki è la capostipite di un cinema libanese praticamente inesistente. Ho la sensazione che molto presto quel cinema non avrà più molto da imparare; al contrario, credo che da quelle terre di conflitti, sfruttamento e sofferenza, potremo aspettarci qualche "interessante contributo" sul piano dei contenuti...